Economia

Amato svela dietro le quinte della crisi del ’92

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Sulla crisi del ’92 in Italia, o crisi della Lira che dir si voglia, si dibatte con diverse tonalità ancora oggi. Nelle ricostruzioni più accademiche, quanto accadde quell’anno alla moneta italiana costituisce un caso emblematico per comprendere le crisi valutarie. Queste si verificano quando un Paese, vincolato a mantenere stabile un tasso di cambio si trova costretto a sganciarsi da tale vincolo: alla base c’è di solito uno squilibrio economico che diventa troppo dispendioso da calmierare tramite gli interventi della banca centrale, volti a stabilizzare un tasso di cambio che, altrimenti, sarebbe assai diverso.

Quello del ’92 è un caso di studio anche per quanto riguarda le speculazioni finanziarie, in quanto gli investitori possono accelerare il processo di rottura svendendo la moneta che rischia di svalutare (nello specifico, è noto che fu George Soros a rendersi protagonista di questa scommessa). Infine, nell’immaginario collettivo, la crisi del ’92 è stata anche quella del “prelievo forzoso sui conti correnti”, necessario a evitare il crac finanziario del Paese. In un’intervista rilasciata al Corriere, Giuliano Amato, protagonista di quella stagione, ricostruisce lo svolgimento della crisi.

Il contesto economico europeo, segnato dal Sistema monetario europeo (Sme), per alcuni è in grado di spiegare certe difficoltà che l’economia italiana soffre tuttora con l’euro. Fu proprio lo Sme, che fissava i cambi delle monete europee, ad essere “sospeso” di fatto con la svalutazione del ’92. Così Amato:

“(…) Nei primi anni ‘90, (…) la nostra economia si trovava frenata proprio da tassi d’interesse alti e da un cambio forte in un contesto globale positivo. Quei fattori rendevano difficile alle imprese il finanziamento e le rendevano meno competitive sul mercato internazionale(…)” Di svalutazione “se ne parlava sui giornali e sembrava una soluzione classica: quando la moneta è sopravvalutata del 25%, si apre la valvola della pressione e poi si vive meglio. Ma noi avevamo un debito pubblico enorme già allora e rinunciare alla forza della lira poteva mandare allo sbando la finanza pubblica. Quando nacque il mio governo, ci chiedemmo se non era il caso di svalutare subito. (…) In sofferenza erano anche il franco, la sterlina, lo scudo e la peseta. Sarebbe stata più utile una rivalutazione del marco tedesco che un atto unilaterale sulla lira”.

Amato, successivamente, spiega come aveva tentato di persuadere i francesi che sarebbe stato meglio svalutare franco e lira assieme, in modo da evitare atti unilaterali e, di fatto, costringere la reticente Germania a una rivalutazione del marco. I francesi rifiutarono: in vista c’era il referendum sulla ratifica del Trattato di Maastricht. Svalutare sul marco sarebbe stato un disonore per la Francia. E’ un’Italia abbandonata a se stessa quella che racconta Amato, evocando quei mesi. Un abbandono che culminò l’11 settembre 1992; oggi ricorrono oggi i 25 anni:

“Era il primo pomeriggio di venerdì 11 settembre, ero nel mio ufficio con Ciampi e Barucci. Si affaccia Francesco Alfonso, allora suo collaboratore, e ci disse che il presidente della Bundesbank Helmut Schlesinger aspettava in linea. Ciampi [allora governatore della Banca d’Italia Ndr.] andò a parlargli al tavolo della mia segretaria e quando tornò era verde in volto. Schlesinger gli aveva detto che la Bundesbank da lunedì non sarebbe più intervenuta per difendere la lira”.

La svalutazione del 25% fu inevitabile. E, per stessa ammissione di Amato, efficace. L’emissione di titoli dell’ottobre successivo “fu la fine dell’incubo”, racconta l’ex premier, “l’economia stava già uscendo dalla recessione”. La svalutazione aiutò “nell’immediato. Ma non consiglio di tornare alle monete nazionali con lo spazio che aprono alla speculazione!”.