Mercati

Allarme sul debito spazzatura dei mercati emergenti

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Attenzione al debito “spazzatura” dei Paesi meno sviluppati. Sta crescendo a livelli record, sostenuto dalla ripresa economica e dalla sete di rendimento degli investitori globali. E, presto o tardi, potrebbe rappresentare una minaccia. L’allarme proviene dal Financial Times, che, citando uno studio di Dealogic, mette i numeri nero su bianco: i governi emergenti con rating “junk”, speculativo, hanno raccolto 75 miliardi di dollari quest’anno, mettendo a segno un aumento record del 50% su base annua.

Il dato si riferisce ai syndicated bond, sostenuti da un sindacato di investitori istituzionali che si impegna a sottoscrivere l’intero ammontare in collocamento.

“Sebbene molte economie sviluppate con un programma regolare di emissioni utilizzi questo sistema per supportare la raccolta”, premette il quotidiano finanziario, nei Paesi emergenti i sindacati di garanzia sono realizzati da governi con poca esperienza in materia. “L’aumento del fenomeno riflette una crescente penetrazione dei mercati di capitali in parti del mondo che in precedenza avevano scarso accesso ai flussi d’investimento internazionali. Suggerisce anche che alcune delle più fragili e meno diversificate economie al mondo stanno diventando vulnerabili ai cambiamenti nel sistema finanziario globale”, scrive il FT.

Risultato: il debito di qualità inferiore all’investiment grade rappresenta il 40% delle nuove emissioni collocate dai mercati emergenti nel 2017. Il motivo? La forte domanda per il debito dei Paesi emergenti da parte di investitori a caccia di cedole generose e i tassi contenuti su scala globale hanno incoraggiato una serie di nuovi emittenti esotici a finanziarsi sul mercato.

Gli esempi sono numerosi: dai 3 miliardi di dollari raccolti dal Bahrein, ali 500 milioni ottenuti dal Tajikistan al proprio debutto sui mercati, entrambi a settembre. Dal miliardo ottenuto dal governo iracheno in estate ai 3 miliardi totalizzati dall’Ucraina nella prima operazione conclusa dall’invasione russa della Crimea nel 2014.

Inevitabile la domanda che inizia a trapelare tra gli analisti e i grandi investitori: qual è il destino di queste emissioni, una volta che lo scenario di mercato sarà mutato e meno propenso a finanziare emittenti “spazzatura” di Paesi lontani?