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Ai cittadini Ue: con Brexit rischiate il lavoro

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ROMA (WSI) – Una eventuale vittoria del fronte Brexit, il prossimo 23 giugno, potrebbe scatenare un esodo di massa dei lavoratori appartenenti a qualsiasi paese dell’Unione europea. E sicuramente non per il loro desiderio di fuggire da una nazione, il Regno Unito, che ha dato loro diverse opportunità in termini di lavoro e carriera. Tutt’altro.

La vittoria del Brexit renderebbe infatti il Regno Unito non più paese membro dell’Ue. Di conseguenza, i cittadini Ue che vivono e lavorano lì si troverebbero a essere sottoposti alla regolamentazione che disciplina il trattamento dei migranti non originari dell’Ue. Perchè, questo?

Il motivo risiede nel dissolversi di quei legami che hanno forgiato finora i rapporti del Regno Unito con Bruxelles: una volta ‘liberatosi’ dalle regole dell’Ue, il Regno Unito non avrebbe più l’obbligo di aderire al Freedom of Movement Act, che permette a tutti i cittadini Ue di trasferirsi facilmente da un paese membro all’altro.

Ed è molto probabile, a quel punto, che il Regno Unito applicherebbe le leggi sull’immigrazione che vengono applicate al momento nei casi di qualsiasi cittadino non britannico che cerchi di vivere in UK.

Finora, i cittadini Ue non hanno avuto quasi nessuna restrizione nel trasferirsi nel paese: tutto ciò che viene richiesto è un passaporto Ue, che è il biglietto per vivere e lavorare nel Regno Unito.

Per gli immigrati non-Ue, la questione è diversa. Londra chiede infatti due requisiti.

  • Gli immigrati devono svolgere una professione che richiede una laurea.
  • Lo stipendio deve essere superiore alla soglia di 20.800 sterline. A partire dall’aprile del 2017, la soglia aumenterà tra l’altro a 30.000 sterline.

Ed ecco la doccia fredda per gli italiani e gli altri cittadini Ue che lavorano in UK.

Stando a uno studio dell’Osservatorio sull’Immigrazione dell’università di Oxford, stilato per il Financial Times, ben il 75% dei “cittadini Ue che lavorano nel Regno Unito non centrerebbero i requisiti richiesti al momento ai lavoratori non-Ue, nel caso in cui il paese lasciasse il blocco (dell’Ue). La percentuale salirebbe drammaticamente all’81%, con le nuove regole in vigore dall’aprile del 2017.